Tutela Ambientale

Per la prima volta dopo l’entrata in vigore della legge 60 del 2015 che ha introdotto il nuovo delitto di inquinamento ambientale, la Cassazione con una recente sentenza  n.46170 del 3.11.2016 ha affrontato i dubbi interpretativi che la scarsa determinatezza della norma aveva suscitato.

Il caso sottoposto alla Corte riguardava l’attuazione di un progetto di bonifica di alcuni fondali di un porto, dove la ditta incaricata delle operazioni di dragaggio aveva omesso di osservare le prescrizioni progettuali, provocando dispersione di sedimenti nelle acque circostanti, conseguente trasporto degli inquinanti in essi contenuti (idrocarburi e metalli pesanti) e tali da cagionare un deterioramento ed una compromissione significativa delle acque del golfo.
Per questo motivo il Gip aveva disposto il sequestro preventivo del cantiere e parte del fondale ipotizzando a carico del progettista e direttore dei lavori il reato di inquinamento ambientale di cui l’art. 452 bis c.p..
La società esecutrice dei lavori proponeva ricorso al Tribunale del Riesame che annullava il sequestro, riconoscendo l’astratta configurabilità degli elementi costituitivi del reato oggetto della provvisoria incolpazione fatta eccezione per il deterioramento significativo delle acque. Contro tale annullamento ha proposto ricorso in Cassazione il Procuratore della Repubblica.

Il reato di inquinamento ambientale ex art. 452 bis c.p. prevede che: “È punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili:
1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;
2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.
Quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata”.

Il primo punto affrontato dalla Corte di Cassazione nella sentenza riguarda l’interpretazione del requisito della “abusività” della condotta. Secondo i Giudici della Suprema Corte il concetto di condotta abusiva deve intendersi in senso ampio “comprensivo non soltanto di quella posta in essere in violazione di leggi statali o regionali, ancorchè non strettamente pertinenti al settore ambientale, ma anche di prescrizioni amministrative”.
La Corte, traendo spunto dalla consolidata interpretazione giurisprudenziale formatasi in relazione al delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, i cui principi sono utilizzabili anche in relazione al delitto di inquinamento ambientale, ha ricordato che il carattere abusivo della condotta sussiste “qualora essa si svolga continuativamente nell’inosservanza delle prescrizioni delle autorizzazioni, il che si verifica non solo allorché tali autorizzazioni manchino del tutto (cosiddetta attività clandestina), ma anche quando esse siano scadute o palesemente illegittime e comunque non commisurate al tipo di rifiuti ricevuti, aventi diversa natura rispetto a quelli autorizzati”.

In merito all’oggetto materiale del reato, la Suprema Corte sottolinea che non vi è incertezza che l’articolo 452 bis c.p. ricomprenda anche le acque in genere, così come l’aria, precisando che. se anche per le stesse non vi è “alcun riferimento quantitativo o dimensionale, di fatto difficilmente individuabile, diversamente da quanto previsto riguardo al suolo o sottosuolo, il cui degrado deve interessarne“porzioni estese o significativeè tuttavia evidente che, in ogni caso, l’estensione e l’intensità del fenomeno produttivo di inquinamento ha comunque una sua incidenza, difficilmente potendosi definire “significativo” quello di minimo rilievo, pur considerandone la più accentuata diffusività nell’aria e nell’acqua rispetto a ciò che avviene sul suolo e sottosuolo”.
In relazione alle acque e all’aria la norma richiede quindi una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili. Concetti ritenuti alternativi dal legislatore.
Al fine di attribuire un significato concreto a tali termini, la Corte di Cassazione ritiene che non assuma rilievo decisivo la denominazione di “inquinamento ambientale” attribuita al reato in esame, in quanto la stessa  “evidenzia, sostanzialmente, una condizione di degrado dell’originario assetto dell’ambiente”. Allo stesso modo di scarso aiuto appaiono le definizioni di inquinamento ambientale o di deterioramento significativo e misurabile contenute nel D.lgs. n. 152/2006.
Per la Suprema Corte la compromissione e il deterioramento “indicano fenomeni sostanzialmente equivalenti negli effetti, in quanto si risolvono entrambi in una alterazione, ossia in una modifica dell’originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema”.
La compromissione consiste quindi in “una condizione di rischio e pericolo che potrebbe definirsi di “squilibrio funzionale” perché incidente sui normali processi naturali correlati alla specificità della matrice ambientale o dell’ecosistema” mentre il deterioramento implica uno “squilibrio strutturale”, caratterizzato da un decadimento di stato o di qualità” dei processi naturali.
Da ciò consegue, per la Corte, che non assume rilievo l’eventuale reversibilità del fenomeno inquinante, se non come uno degli elementi che distinguono il reato di inquinamento ambientale da quello più severamente punito di disastro ambientale previsto dall’art. 452 quater c.p.

La sentenza prosegue  sottolineando che l’operatività del 452 bis c.p. è delimitata inoltre dalla precisazione che la compromissione e il deterioramento devono essere “significativi e misurabili”, elementi che – osserva la Corte – elevano “in modo considerevole il livello di lesività della condotta, escludendo i fatti di minore rilievo”.
Per i Giudici anche in questo caso non si può prescindere dal significato lessicale dei termini utilizzati, considerando che il termine “significativo denota sen’altro incisività e rilevanza, mentre misurabilità può dirsi ciò che è quantitativamente apprezzabile o, comunque oggettivamente rilevabile”.
Poiché non ci sono espliciti riferimenti a limiti imposti da specifiche disposizioni o a particolare metodiche di analisi, secondo la Corte i parametri imposti dalla disciplina di settore non possono operare come “vincolo assoluto” per l’interprete per quantificare l’inquinamento, ma solo come “un utile riferimento nel caso in cui possano fornire, considerando lo scostamento tra gli standard prefissati e la sua ripetitività, un elemento concreto di giudizio circa il fatto che la compromissione o il deterioramento causati siano effettivamente significativi”. Infatti il superamento dei parametri imposti dalla disciplina di settore “non implica necessariamente una situazione di danno o di pericolo per l’ambiente”, potendoci essere casi in cui, “pur in assenza di limiti imposti normativamente, tale situazione sia di macroscopica evidenza o, comunque, concretamente accertabile”.

Cliccare qui per il testo completo della sentenza Cass. Pen. sez. III n.46170 del 3.11.2016

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