La Corte di Cassazione con la sentenza n.12653/2016 si è nuovamente espressa riguardo alla responsabilità amministrativa degli enti prevista dal D.lgs. 231/01.
Il caso riguarda la condanna di due società per l’illecito amministrativo dipendente dal reato ex art. 316 bis c.p. commesso  dall’Amministratore delle stesse in relazione a dei finanziamenti concessi dalla Regione per la realizzazione di un’opera  di interesse pubblico. I fondi ricevuti sono invece stati utilizzati dall’Amministratore per scopi diversi, ossia per l’acquisto di un compendio immobiliare.

La Corte ha ritenuto esistente la responsabilità amministrativa delle due società sia per quanto riguarda l’elemento soggettivo che oggettivo sottolineando che “l’analisi compiuta dai Giudici di merito risulti pienamente rispondente al dato normativo, essendo stato posto in luce che l’azione illecita dell’organo apicale era stata funzionale all’interesse dei due enti, che erano stati in tal modo dotati di liquidità di cui avevano potuto disporre secondo la politica gestionale facente capo all’amministratore, e si era altresì risolta in un concreto vantaggio, soprattutto” per una delle aziende, “divenuta titolare di un cospicuo compendio immobiliare, di cui in precedenza era sprovvista”. Società che infatti prima del ricevimento di tali somme risultavano inattive.

È stato invece accolto il ricorso delle due società in merito all’art. 19 del D.Lgs. 231/01. Tale articolo prevede una duplice clausola di salvaguardia: nei confronti dell’ente è sempre disposta la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo per la parte che può essere restituita al danneggiato e fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede.
La Corte  ritiene a tal proposito che  “la duplice clausola contenuta nel primo comma relativa alla detrazione di ciò che può essere restituito e alla salvezza dei diritti dei terzi, valga anche per la confisca per equivalente”  e l’art. 19 D.Lgs. 231 del 2001, letto in relazione all’art. 9 D.Lgs. 231, “introduce una vera e propria sanzione principale a carico degli enti che risultino responsabili, la quale ha la funzione di ripristinare l’equilibrio economico turbato dal reato”.
La sentenza prosegue precisando che l’assunto dei ricorrenti è fondato in quanto “la confisca per equivalente è parimenti obbligatoria e ha la stessa funzione di quella contemplata al primo comma, fermo restando che la stessa non può risolversi in un pregiudizio per i terzi in buona fede. Ma in concreto deve rilevarsi che la doppia clausola di salvaguardia opera diversamente: quanto alla possibilità di disporre la restituzione al danneggiato, deve aversi riguardo non tanto ad una generica garanzia patrimoniale gravante sull’ente a vantaggio di un danneggiato, ma alla possibilità di distaccare concretamente una porzione del patrimonio, specificamente individuata, in quanto spettante come tale al danneggiato, che vi abbia dunque diritto, secondo una valutazione demandata al giudice penale competente; la salvezza dei diritti dei terzi di buona fede prescinde invece dalla qualità dei terzi, cioè dalla loro veste di danneggiati, e implica un riferimento al diritto di tali soggetti su un bene specificamente individuato, in quanto prevalente sull’interesse dello Stato alla acquisizione del bene attraverso la confisca”.

Non è invece stato ritenuto fondato dalla Corte il motivo secondo cui, per determinare il quantum del profitto da confiscare, si sarebbero dovute considerare in detrazione anche le somme corrispondenti alle polizze fideiussorie e le parti di debito coperte da garanzie ipotecarie, nè l’assunto che i diritti dei terzi acquistati in buona fede sarebbero identificabili nella garanzia ipotecaria volontariamente prestata in favore della Regione dal rappresentante legale dell’Ente su beni immobili dell’Ente medesimo.
Per la Cassazione infatti “ non può dirsi che il soggetto danneggiato, cioè la Regione erogante, abbia diritto alla restituzione di un bene specificamente individuato, dovendosi invece ravvisare il diritto dell’Ente alla restituzione della somma distratta e al risarcimento del relativo danno. In tale prospettiva non può attribuirsi rilievo neppure alla prestazione di garanzie fideiussorie da parte di terzi, giacchè queste ultime non ineriscono ad una porzione di patrimonio dell’ente specificamente individuata, da restituire al danneggiato. Esse potranno concorrere, ove escusse, al soddisfacimento delle pretese risarcitorie della Regione erogante, ma non possono essere considerate in detrazione in sede di computo del profitto e del relativo valore soggetto a confisca. Quanto alle garanzie ipotecarie, se per un verso potrà porsi al momento debito il problema di stabilire la prevalenza del diritto del creditore ipotecario, nondimeno è d’uopo osservare come attualmente la garanzia non sia stata in concreto, per quanto consta, esecutivamente escussa e come dunque il bene immobile ipotecato rientri nel patrimonio dell’ente responsabile, risultando per ciò stesso assoggettabile a confisca.”
La Corte ha inoltre affermato che per il computo del valore cui commisurare la confisca per equivalente per le due diverse società, la stessa “non potrà oltrepassare per ciascun ente l’entità dell’importo a ciascuno di essi riferibile”. È stato infatti rilevato che “nel caso di specie è stata formulata a carico di ciascun ente una distinta contestazione, a fronte delle autonome erogazioni effettuate in favore dell’uno e dell’altro. Ciascun ente ha dunque conseguito un corrispondente profitto, cui va specificamente commisurata la confisca. Non varrebbe in senso opposto il richiamo al principio solidaristico che nel caso di illecito plurisoggettivo implica l’imputazione dell’intera azione e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente: non ricorre infatti un concorso tra i due enti, che rispondono autonomamente della condotta del S., che ricopriva in entrambe le società posizione apicale determinante”.
Inoltre “il valore dei beni da sottoporre a vincolo deve essere adeguato e proporzionato al prezzo o al profitto del reato e il giudice, nel compiere tale verifica, deve fare riferimento alle valutazioni di mercato degli stessi.”

Merita infine richiamare anche  quanto affermato dalla Corte relativamente alla responsabilità dell’imputato per il reato di malversazione ai danni dello Stato.
Per la Corte tale reato “ha natura istantanea e si consuma nel momento in cui sovvenzioni, finanziamenti o contributi pubblici vengono distratti dalla destinazione per cui erano stati erogati” specificando nel seguito  che “pur non richiedendosi la destinazione delle medesime banconote, occorre comunque che il valore erogato sia concretamente destinato dal soggetto beneficiario alla finalità prevista, la sola che avrebbe potuto giustificare l’erogazione”.
L’imputato aveva presentato ricorso sostenendo di non aver avuto l’intenzione di sottrarre le somme erogate allo scopo prefissato, avendo in tale ottica prestato garanzie, offerto ipoteca e spontaneamente restituito parte delle somme. L’imputato asseriva inoltre che il mancato raggiungimento della finalità per cui erano state erogate le somme era stato reso impossibile a causa di ostacoli burocratici.
La Corte ha rigettato questo motivo affermando che per tale reato “il dolo generico si risolve nella consapevole volontà dell’agente di conferire alla somma erogata una destinazione diversa” e che nel caso in esame l’amministratore aveva preordinato la distrazione delle somme mesi prima della scadenza del termine per completare l’opera, avendo dato incarico  al proprio legale di acquistare all’asta un compendio immobiliare.
A nulla inoltre rilevano le difese dell’imputato circa l’impossibilità di completare l’opera a causa di ostacoli burocratici inerenti al rilascio dei titoli abitativi. La Corte infatti ha affermato: “ciò che conta è la verifica della puntuale destinazione nel momento in cui la somma avrebbe dovuto trovare riscontro nell’opera da realizzare o nella finalità da soddisfare: da tale rilievo non discende che debba aversi riguardo alle ragioni della mancata realizzazione dell’opera ma solo che in quel momento debba valutarsi l’effettività della destinazione dell’erogazione” e ancora più chiaramente nel seguito “ l’opera implicava la disponibilità di quei titoli, in assenza dei quali non vi sarebbe stata ragione di utilizzare per intanto le somme erogate per scopi diversi..”.
Nemmeno l’argomentazione riguardante la prestazione di garanzie è stata ritenuta fondata dalla Corte che ha invece affermato: “ la diversa destinazione data alle somme … non possa ritenersi compensata dalle garanzie fideiussorie e ipotecarie offerte e dalla successiva parziale restituzione della somma: non viene infatti in gioco la semplice possibilità che prima o poi la somma sia per intero restituita, ma la verifica del soddisfacimento del pubblico interesse sotteso alla concreta destinazione dell’erogazione.”