Mancata adozione del Modello 231: la società risponde della morte di un...

Mancata adozione del Modello 231: la società risponde della morte di un suo lavoratore (Cassazione n. 2544/2016)

Con la sentenza del 21 gennaio 2016, nr. 2544,  la Cassazione ribadisce la responsabilità della società e dei suoi dirigenti per l’omessa adozione e l’efficace attuazione prima della commissione del fatto, di un modello di organizzazione e di gestione idoneo a prevenire i reati della specie di quello verificatosi.
In tale sentenza la Cassazione infatti ha confermato le condanne inflitte in primo e secondo grado ad una società edile, al suo amministratore e al direttore tecnico per la violazione delle norme antinfortunistiche che hanno causato la morte di un lavoratore della società. Violazione che la Corte definisce “frutto di una specifica politica aziendale, volta alla massimizzazione del profitto con un contenimento dei costi in materia di sicurezza, a scapito della tutela della vita e della salute dei lavoratori” ritenendo presenti tutti i criteri di imputazione oggettiva e soggettiva per affermare la responsabilità della società ex D.lgs. 231/01.

Sotto il profilo dei criteri di imputazione oggettiva la sentenza afferma che nei reati colposi di evento i requisiti dell’interesse e vantaggio previsti dall’art. 5 del D.Lgs. 231/01, devono essere riferiti alla condotta e non all’esito antigiuridico, essendo sicuramente escluso che si possa parlare di interesse o di procurato vantaggio in tutti i casi in cui avvengano lesioni o la morte di un dipendente della società a causa della violazione delle norme antifortunistiche.
In questi casi infatti l’ente trae un vantaggio “nel risparmio di costi o di tempo che lo stesso avrebbe dovuto sostenere per adeguarsi alla normativa prevenzionistica, la cui violazione ha determinato l’infortunio sul lavoro.”
La sentenza ribadisce inoltre che i due concetti di interesse e vantaggio sono giuridicamente diversi in quanto l’interesse si riferisce ad una valutazione antecedente alla commissione del reato presupposto, mentre il vantaggio attiene ad una valutazione ex post circa l’effettivo conseguimento dello stesso a seguito della consumazione del reato. Tali concetti sono alternativi ben potendo verificarsi infatti che il reato sia commesso nell’interesse dell’ente ma non procurargli alcun vantaggio.
Nei reati colposi di evento l’interesse ricorre quando “la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente agito allo scopo di conseguire un’utilità per la persona giuridica; ciò accade, ad esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l’esito (non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma) di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi d’impresa”.
Il vantaggio invece ricorre quando “la persona fisica, agendo per conto dell’ente, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche e, dunque, ha realizzato una politica d’impresa disattenta alla materia della sicurezza del lavoro, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto”.
Nel caso affrontato dalla sentenza è stata accertata e provata “la protratta sistematica violazione della normativa prevenzionistica a vantaggio dell’ente, che aveva risparmiato i costi connessi all’acquisto di un’attrezzatura di lavoro moderna, efficiente e sicura … ovvero i costi delle modifiche tecniche necessarie a rendere quel macchinario sicuro per i lavoratori; nonché la circostanza che la società aveva risparmiato i costi .. connessi ad un’adeguata attività di formazione ed informazione dei lavoratori”.

Sotto il profilo dei criteri di imputazione soggettiva la sentenza afferma che entrambi i soggetti rivestivano al momento del fatto ruoli apicali all’interno della società essendo rispettivamente amministratore unico e dirigente tecnico della stessa. Qualifiche che rientrano tra quelle previste dall’art. 5, co. 1 lett. a) del D.Lgs. 231/01.
La società quindi per andare esente da responsabilità  nel caso di reati di omicidio colposo o lesioni colpose commesse da suoi organi apicali con violazione della normativa in materia di sicurezza o igiene del lavoro avrebbe dovuto dimostrare “ l’adozione ed efficace attuazione di modelli organizzativi (per i quali soccorre il disposto dell’art. 30 del d. lgs. n. 81/2008) e l’attribuzione ad un organismo autonomo del potere di vigilanza sul funzionamento, l’aggiornamento e l’osservanza dei modelli adottati” come previsto dall’art. 6 del D.lgs. 231/01.
Modello che la società non aveva adottato e che ha portato alla condanna alla stessa di una sanzione amministrativa pecuniaria di €80.000.